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Colpevole - Leggende delle Montagne Settentrionali


Günner era un soldato, un ottimo soldato. Il giuramento che aveva fatto allo Jarl non era mai stato infranto, nel suo nome aveva partecipato a battaglie in tutto il Dwalinar, nelle Montagne Settentrionali, le terre di casa, nel Grande Deserto del Sud, nelle Terre dei Fiumi, nel Sottosuolo, lungo argini e cascate, lande brulle e campagne, colline, montagne, pianure, fiordi e spiagge. Molti anni or sono, molto prima del Grande Trattato di pace che stipulò i confini delle terre e che nessuno li valicasse per portare guerra fra le nazioni, si ritrovava a combattere al confine del Sacro Fuoco Minore di Wisby. Riteneva i Sacerdoti di Toras "pagani", fedeli ad una strana divinità drago che, sola, intendevano esser forte come tutti gli Dei del pantheon messi assieme! Da buon nordico, non importa ribadirlo, Günner rideva di gusto ogni qual volta che ne sentiva pronunziare il solo nome, ed altrettanto faceva quando il contingente di cui faceva parte ne sfondava i portoni delle chiese ed abbazie, razziando oro e le infinite ricchezze. Si faceva beffe pure dei preti dalla testa semi rasata, inneggiando il nome di Odino e dei suoi figli. Pregava Thor, Dio del fulmine e della tempesta, Bragi, Dio della poesia, Heimdallr, Dio guerriero custode degli Dei, Tyr, Dio della guerra giusta, Vidar, Vàli ed Hermod, e rendeva onore a tutti gli Asi, offrendo sacrifici su sacrifici. Faceva tutto ciò che sarebbe servito, pensava, a meritarsi un posto nel giusto schieramento quando sarebbe giunto il Ragnarok.




Di ritorno dall'ultima battaglia lui e gli uomini depositarono armi e scudi e, doverosamente, si dedicarono a bere, cantare, e a possedere le schiave prede dell'ultima razzia. Quando scese la notte le fiamme del falò toccarono il cielo, i carboni ardenti erano un mosaico scoppiettante di membra di corpi nemici e tizzoni in fiamme.

Fra le ombre dei faggi e dei cipressi, mosse come burattini dal vento, Günner intravide oltre la tela della tenda in cui dormiva dei movimenti sospetti. Inizialmente diede la colpa al bere, in quanto la testa gli vorticava come fosse stato appeso a testa in giù su una snekkja in alto mare, ma si dovette ricredere quando mise bene a fuoco ciò che stava accadendo. I soldati avevano accerchiato un uomo e lo facevano barcollare a destra e a manca colpendolo con calci e pugni, insultandolo e deridendolo a squarciagola. Deglutì. Scosse la testa più volte e sospirò, ammirando le ricchezze che aveva accatastato, quelle che avrebbe donato al ritorno al suo Jarl e alla famiglia. Sapeva benissimo che sarebbe dovuto intervenire, ma non poté far altro che riflettere su quelle che sarebbero state le conseguenze. Se avessero fatto anche a lui ciò che stavano facendo a quell'uomo? Se superando il limite l'avessero ucciso? Non si sarebbe più potuto ricongiungere alla moglie e ai figli. "Dannazione!" Perché stavano rovinando quella nottata di festa e bagordi!? Trasse la sua conclusione. "Sarà solamente un prigioniero…" Chiuse gli occhi e si voltò dall'altra parte, tappandosi le orecchie per non sentire.




Il mattino seguente, al risveglio, ritrovò il cadavere dell'uomo affianco alla tenda. Un sapore acido gli inasprì il palato quando scoprì che era un fratello nordico. Assieme a qualche compagno lo trascinarono fino al fiume e lo lasciarono intraprendere il viaggio verso il mare aperto. Quando gli chiesero cosa fosse successo rispose di non aver udito nulla. Se fossero stati in terra natale le cose sarebbero potute andare diversamente, pensò, magari sarebbe intervenuto e quegli uomini sarebbero stati giudicati di omicidio dal "ting" e marchiati come fuorilegge.




Di ritorno dalla Valle Smeraldo si ricongiunse ai propri cari. Lo Jarl gli fece gli onori per il servizio e gli regalò una fattoria nella quale poter invecchiare, e degli schiavi che l'avrebbero aiutato ad accudire e proteggere la prole. Passò ogni giorno coltivando la terra e pregando gli Dei, vide crescere i figli e prendere il cammino in quel tortuoso viaggio chiamato vita, ma non vi fu momento in cui poté eliminare il ricordo di quel assassinio. La macchia che copriva il suo cuore era oscura ed indelebile.

Quando chiuse gli occhi per l'ultima volta, fra i pianti ed i sorrisi dei figli, dei nipoti e dei conoscenti, nessuna valchiria e nessun Dio erano lì a porgli giudizio e tender la mano verso la Valhalla. Si ritrovò a vagare nel Regno di Hella tra le anime dannate.



La vita era stata dura con lui, gli aveva impartito una lezione inestimabile. Non è solo ciò che facciamo quello per cui siamo ritenuti responsabili, ma anche quello che non facciamo determina il nostro destino.