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DIARIO DI BORDO #4

        


 

 La carovana e

la ruota del tempo

scritto da: 

"Il timoniere in seconda, Billi"




Diario della carovana. Radunato con calma tutto il necessario, con i ritmi dettati dalla voce tonante del master desideroso di partire, la ciurma aveva lasciato la taverna spostandosi in carovana. I carri trainati dai muli e dagli asini si spostavano velocemente tra le vie del porto, accompagnati dal gruppo di guerrieri più valorosi, spietati, attaccabrighe e alcolizzati delle isole. Davanti, il chierico schioccava la frusta contro le bestie da soma in uno scontro di testardaggine, il Master guardava fiero la folla radunatasi al loro passaggio, strofinandosi la barba e bevendo birra chiara, il cuoco distribuiva omelette. In poco tempo il selciato lasciò il posto alla terra battuta, e le case ai campi verdi della collina. Il sole aveva ormai finito il suo ciclo e si apprestava s riposarsi dietro l'orizzonte, quando il Mozzo fuggiasco si unì al gruppo armato. La carovana procedette per qualche ora tra risate, versacci e canti da viaggio e al confine con la contea di Abelel si fermò. La ciurma organizzò un fuoco al centro dei carri messi in cerchio e si rilassò al chiaro della luna tra birra e storie che richiamavano Orfeo a gran voce. La notte frizzantina aveva il profumo di avventura e il sapore di un mondo da scoprire, la terra umida risvegliava l'antico desiderio umano della scoperta e i dolori ossei dei membri più avanti con gli anni.


Diario della carovana. La giornata era iniziata scrosciante, le vesciche si svuotavano all'unisono poco fuori la cerchia di carri. Il fuoco non aveva mai smesso di scoppiettare la notte, creando una barriera di oscurità poco lontano dal suo raggio luminoso. Solo grandi orme di un grosso rapace testimoniavano il passaggio di qualche strana bestia, e un sentore fece rabbrividire il primo cacciatore che strinse con forza le natiche. Alle prime luci dell'alba, la carovana si rimise in viaggio in direzione della città di Abelel, passando i campi in collina e arrivando al margine della foresta. Nel cammino si unì alla spedizione un nuovo compagno della ciurma. I solchi in viso suggerivano che si trattasse di un veterano, da tempo assopito e lontano dalle battaglie. La strada, nonostante la lontananza da Grosten sembrava ben battuta dai carri dei mercanti che sovente passavano per quelle terre, nonostante la guerra avesse diminuito la frequenza delle spedizioni. All'imbrunire, la carovana si organizzò alle porte del bosco, per ripartire il giorno dopo e raggiungere la meta designata. Il Taverniere sembrava eccitato all'idea di raggiungere Abelel, il suo animo sembrava aver ripreso colore dopo settimane di tetra oscurità.


Diario della carovana. Il terzo arto. La carovana si era destata tra i lamenti del cacciatore che affaticato e tumefatto trascinava la carcassa di un lucertolone che la notte precedente lo aveva assalito durante la vedetta. Nonostante questo primo segnale di pericolo la giornata passò lenta e tranquilla, ma si concluse diversamente. Con le tenebre scese anche una strana foschia che avvolse la radura e il bosco vicino. Il gruppo di ricognizione mandato ad indagare alla falegnameria si trovò ad affrontare alla cieca le insidie della regione. Continuamente minacciati da forti ululati che circondavano il gruppo, i detective oltrepassarono un folto banco di erba alta fino ad arrivare a stento al grosso impianto composto da diversi edifici. Li setacciarono a uno a uno in uno stato di inquietudine accompagnato dai versi delle bestie che circondavano l'area. Dopo aver trovato un'enorme zanna, probabilmente di un enorme lupo, si trovarono in una stanza inondata dal sangue proveniente da un corpo masticato e martoriato da una sega circolare per i tronchi. Lo spettacolo sembrava raccapricciante, ma diventò surreale quando notarono che il corpo possedeva un terzo braccio. Il terzo arto suscitò curiosità e terrore nel gruppo, che minacciato da entità ultraterrene, era indeciso se aspettare l'alba dentro l'edificio, nell mare di sangue ed in compagnia del moncherino superdotato.


Diario della carovana. Ululati alla luna. Stanchi e infastiditi da tutto quel sangue sul pavimento e dal rumore di carne macellata dalla sega per tronchi, il gruppo investigativo decise di affrontare l'ignoto e di abbandonare lo stabile. Fuori dalla porta li scrutavano nell'ombra due enormi occhi giallastri, mentre il vento cantava, o così pareva, un lamento di morte. Immersi nell'aria tetra, raggiunsero quelli che erano un tempo gli alloggi. Ne rimanevano quattro mura carbonizzate che minacciavano di rovinare sul gruppo. Fuori dagli alloggi, ai margini della foresta li osservava una figura strana. Quando il gruppo uscì al chiarore lunare, la bestia si mostrò nella sua maestosità. Un lupo enorme, come mai né avevamo visto. Lunghi arti, possenti muscoli, artigli affilati e grandi denti bianchi erano le sue armi. Fiutava l'aria e digrignava i denti tra potenti ululati. La paura raggiunse il gruppo nonostante la bestia decise di non attaccare e di scomparire tra la folta vegetazione annusando l'aria. Poco lontano, un gruppo di strani guerrieri dagli occhi rubino, vestiti di nere armature e mantelli di pelli si avvicinarono minacciosi e dopo una serie di domande si tramutarono in un branco di lupi famelici. Undici bestie sanguinarie si avventarono sul trio, dilaniando, graffiando, mordendo, attaccando. Il gruppo si difese a stento e uscì dallo scontro malconcio e esausto. I lupi giacevano esanimi a terra, ma il prezzo pagato era stato alto, e rischiava di diventare un pegno mortale.


Diario della carovana. Il medaglione. Dopo aver recuperato velocemente le forze, usando quel poco di magia che gli era stata concessa dal flusso, il gruppo cercò rifugio nella vicina stalla. Mentre si avvicinavano allo stabile, lungo il rivo illuminato dalle lune, si materializzò una figura dalle fattezze umane e con gli occhi dell'enorme fiera che li aveva sfidati. Proferí parole cariche di dolore e assenti di speranza, che risuonavano con il suo desiderio di morire. I guerrieri lupo erano immortali, avevano trucidato la sua famiglia, si trovavano sulle sue tracce e forse su quelle del capitano della ciurma. L'angoscia pervase il gruppo circondato nuovamente dagli ululati quando il licantropo si ritrasformò. Un colpo di fortuna allontanò il gruppo dalla bestia che venne circondato da lupi e sbranato. Un guerriero, un fantasma, o forse uno spirito comparve e pronunciò parole oscure sulle sorti del loro capitano. Il loro destino inesorabile era strettamente legato ad un misterioso medaglione argenteo abbandonato dallo spettro. Quando scomparve non era rimasta traccia ne dei lupi ne dell'enorme bestia, spariti senza lasciare traccia del loro passaggio, se non le carcasse dei buoi e dei cavalli che li avevano sfamati. Chi erano davvero gli Ulve Jægere? Cosa cercavano da Botark? Quando sarebbero tornati? Per quella sera la caccia era conclusa, ma rimaneva l'irrequietezza di numerosi misteri che rimanevano irrisolti.


Diario della carovana. La giornata era passata tra una chiacchiera e l'altra. Gli eventi del gruppo di investigazione avevano scatenato nella ciurma un senso di timore generalizzato, che però non era riuscito a smorzare la voglia di oziare dei guerrieri della Taverna. Un forte temporale aveva affogato ogni discorso sull'accaduto e aveva costretto la carovana a fermarsi fino all'arrivo della nuova giornata. La situazione sembrava tranquilla nei dintorni dei carri, controllata giorno e notte dalle due guercie vedette e dal mastodontico felino della mylady. Ambrador si avvicinava ora dopo ora e forse avrebbe risposto a molti dubbi che inquinavano la mente del capitano


Ambrador, la meta della spedizione intrapresa dalla ciurma della Taverna, si trovava oltre la barriera barriera di roccia, sabbia e ferro che cingeva la regione mineraria dell'isola. Un intricato percorso di strette stradine e mulattiere, si inerpicava tra i canali scavati dai minatori, spesso affiancati da alti dirupi modellati dalle acque e dal vento. I carri della carovana sarebbero potuti passare, seppur con qualche difficoltà, tra le strade battute dai convogli che comunemente trasportavano i minerali e i metalli, ma il fato era avverso alla missione. La pioggia scendeva fitta da giorni e aveva reso le strade un mare di fango impraticabile anche per il più agile dei convogli. Le scelte erano poche, bisognava aspettare che il tempo mutasse per poter tentare la traversata. Di buono rimaneva il fatto che i ragni talpa, flagello dei minatori, detestavano la pioggia e non osavano promuovere scorribande lontano dai loro asciutti nidi. La città non era così distante eppure il tempo stringeva, la maledizione incalzava la spedizione, e la ciurma si trovava davanti a un vicolo cieco in balia del destino.



La giornata volgeva al termine, il sole, dietro le nubi oscure, si eclissava per lasciare spazio alle lune gemelle. La carovana radunata intorno al fuoco si addormentò di colpo, assopita da una magica coltre di umida nebbia. Il risveglio fu improvviso, Botark sembrava alle prese con una delle sue crisi identitarie. Gli occhi neri, scavati nel viso, non lasciavano presagire nulla di buono. Il capitano passò in rassegna tutti i membri della ciurma ma su Billi rovesciò gran parte delle sue velenose attenzioni. Fu quando la ciurma iniziò a controbattere che la situazione precipitò. Botark cambiò nei lineamenti e crebbe in altezza diventando un gigante assetato di sangue. Scatenò una tempesta di fulmini e meteore che decimò la ciurma e distrusse la carovana. I sopravvissuti tentarono inutilmente di fermarlo con le armi ma si trovarono presto a dover fuggire per conservare la vita. Il gigante si rivelò. Dalminar il necromante, re delle anime, re della caccia, li aveva trovati e bramava la loro morte. La fuga finì dopo pochi passi, un branco di lupi famelici li raggiunsero e si scatenarono su Billi, la sua maledizione li attirava come una calamita. Lo scontro fu breve. il corpo dilaniato del ragazzo cadde sul fango bagnato. La morte rimase di stucco quando Billi si rialzó, ed emise un ululato tremendo. Il suo corpo era mutato, i suoi artigli e le sue zanne lo testimoniavano. Un enorme licantropo si nascondeva dentro il ragazzo ed era venuto finalmente fuori. Dalminar godette della vista e rivendicò l'anima del ragazzo prima di scomparire insieme alla nebbia. Il gruppo si svegliò di soprassalto intorno al fuoco. Tutto era tornato come prima, della nebbia non rimaneva traccia. Forse un sogno, forse magia, rimaneva comunque tra i membri della ciurma la sensazione di aver ricevuto un avviso di cosa li aspettava oltre le colline ferrose delle miniere. Il necromante li attendeva ansioso e avrebbe preteso l'anima del ragazzo.



La pioggia che era scesa a dirotto per giorni interi era cessata e le mulattiere si stavano asciugando, permettendo il passaggio della carovana. Le stradine tortuose che collegavano le gallerie e le miniere erano costeggiate da dirupi a strapiombo che minacciavano una morte sicura. Lo spettacolo che si presentava agli occhi dei viaggiatori alleviava però gran parte delle fatiche e facilitava il passaggio attraverso la regione. Passata la giornata, la carovana si accampò sulla sommità di un altopiano circondato dall'ingresso di decine di cunicoli e gallerie. Il pasto frugale fu interrotto da una delle sempre più frequenti allucinazioni del Taverniere. La sua scimmietta fantasma era fuggita entrando in una cava ferrosa. Per evitare attacchi di isteria del capitano, che potevano portare a conseguenze decisamente più gravi di una disavventura, venne organizzato un gruppo di tre ricognitori per cercare la scimmietta immaginaria e riportarla al campo.



La discesa in profondità fu semplice e li portò in una sala ricoperta di un particolare marmo bianco tipico della zona. La cava era abbandonata da decenni o più, ma nella parete erano segnati a grandi tratti rossi due occhi di rettile come ammonimento per i passanti. Dorothy, il fantasma della scimmietta, compariva e spariva guidando i tre nel dedalo di gallerie sotterranee fino ad una saletta, dove tre le mani ossute del cadavere consunto di un esploratore, trovarono un diario con inciso sopra il nome di Fellons. Neanche il tempo di comprendere la situazione che il rumore di centinaia di zampe rapide e affamate li raggiunse. La fuga fu rapida ma breve, un turbinio di tenaglie, aculei, e di migliaia di occhi era dietro di loro. Quando la speranza di sopravvivere era svanita, superarono una porta che si affacciava su una sala nella quale i ragni non osarono entrare. Rimasero lì fuori a soffiare, fischiare e sbavare la loro rabbia. Con un occhio sempre verso il pertugio, gli avventurieri osservarono meglio l'enorme stanza. Era un antro molto ampio con un lungo canale verticale che portava direttamente alla sommità della collina e dal quale la luna faceva filtrare i suoi raggi luminosi. Una brezza ritmica, come un respiro ozioso arieggiava l'intera sala. Il tempo di affacciarsi sul fondo e ai tre si gelò il sangue dal terrore. Un antico drago dorato giaceva sonnecchiante sul suo giaciglio millenario. La bestia era tanto enorme quanto potente e incuteva paura persino ai ragni che non osavano avvicinarsi oltre. I tre compagni erano tra due fuochi e avrebbero dovuto risolvere lo stallo alla svelta e senza svegliare la potente bestia. Forse il diario avrebbe potuto suggerire una via...



Il trio di avventurieri si trovava in una situazione incredibile, disperso nel ventre della terra, tra centinaia di gallerie pullulanti di ragni affamati e di fronte a un drago antico assopito. Il disperato tentativo di cercare una soluzione nel diario del negromante era fallito miseramente tra le sue pagine bianche e il drago si era risvegliato. Immenso nel suo potere, Aldir l'immortale aveva scrutato nel fondo delle anime dei malcapitati che terrorizzati non erano riusciti a fuggire in tempo. Solo per un soffio si salvarono dalla colonna di fiamme che scioglieva terra e rocce, e fuggendo per i cunicoli si diressero verso l'imboscata tesa loro da una vecchia conoscenza di Billi. Uno zombie dal suo passato era sulle sue tracce per rendergli il piccone. Il violento scontro al quale si erano aggiunti anche gli aracnidi a caccia, di colpo cessò, dissolto in un pallido limbo. La galleria bianca conduceva verso l'uscita dalla quale filtrava la luce mattutina. La sventura sembrava essere stata frutto di un viaggio psichedelico indotto dalle spore di funghi che crescevano nelle gallerie, anche se le bruciature e il diario rimanevano li, a prova che qualcosa doveva esser comunque accaduto.



Dopo la disavventura nelle gallerie ferrose, la carovana aveva continuato a scendere verso valle in direzione di Castel Montenero. Il clima pareva impazzito, passando dalle afose giornate estive, alla pioggerellina fitta e senza sosta dell'autunno, e infine a pesante nevicate fuori stagione.
La carovana ben presto accusò il sentore di essere intrappolata in qualche strano maleficio. non solo il clima, ma anche il paesaggio sembrava innaturale. Per quanto si muovessero l'orizzonte non cambiava, continuavano a spostarsi in cerchio, segregati in un loop perenne. Il tempo passava e la maledizione si rafforzava, tanto da avvelenare la mezz'elfa che cercava di contenerla con tutte le sue forze. Il flusso si espandeva nell'aria, permeando anima e corpo dei maghi della spedizione. La sorpresa fu grande la notte, dopo l'ennesimo viaggio a vuoto, quando la pietra magica cominciò a brillare come mai aveva fatto e nel cielo comparve inaspettata la luna gemella. Il tempo era passato veloce, nell'ombra della magia che li teneva intrappolati. Il giorno della mutazione era arrivato. La maledizione stava per arrivare a compimento.



La luce delle luce gemelle venne presto offuscata da una densa nebbia dalla quale si fecero avanti 4 sagome ammantate di nero. Li guidava un individuo incappucciato pregnato da un potente flusso che si espandeva in tutta l'area. La sensazione di malessere che assalì la compagnia non lasciava spazio alle interpretazioni. Il necromante era arrivato e con lui Farkas il capitano degli Ulve Jægere. Il necromante parlò e la sua voce suonava stranamente familiare. sotto il cappuccio nero si nascondeva la copia esatta del Taverniere, sia fisicamente che nella forza del suo flusso. Si presentò come Aldir l'immortale, flagello degli uomini, fratello di Botark, colui che è capace di trascendere il tempo. Pronunciò parole amiche verso il Taverniere, con l'intento di convincerlo ad unirsi alla sua causa e compiere il destino per cui erano nati. La razza umana sarebbe stata infine dominata e gli antichi avrebbero regnato sul mondo. Il rifiuto di Botark fu totale ma non senza conseguenze. A lungo resistette al flusso del necromante, che dimostrò la sua potenza scatenando una tempesta di fulmini che ridusse l'accampamento in macerie, terrorizzando i presenti e mettendo il Taverniere in seria difficoltà. Lo sforzo di Botark fu tale da tramutarlo ancora una volta nell'enorme drago nero che si nascondeva nel profondo della sua anima. Aldir, contrariato, contrappose la sua potenza a Botark sotto forma del millenario drago dorato al quale la spedizione sotterranea pochi giorni prima era sfuggita per puro caso. Lo scontro fu terribile, i due draghi si librarono nel cielo ammantato tra colonne di fuoco e fulmini. Il Drago nero e il Drago D'oro, due leggendari signori dei draghi si combatterono senza esclusione di colpi al di sopra della coltre di nebbia e nuvole che copriva l'accampamento. Mentre i suoni terribili dei ruggiti di rabbia e di dolore arrivavano nitidi alle orecchie dei membri della carovana, a terra lo scontro infuriò deciso. Gli Ulve Jægere attaccarono con tutta la forza a loro disposizione. Billi, fino ad allora aveva vissuto la scena come intrappolato in un vortice di emozioni e sensazioni mai provate. Le due lune e il necromante avevano liberato la maledizione che cresceva costantemente. Furia, rabbia, e sete di sangue si erano risvegliate in lui e tenute difficilmente a bada dalla mezz'elfa e da Botark, troppo impegnato a combattere. La battaglia fu cruenta. Lame, mazze, pugnali, palle di fuoco solcavano l'aria, e nonostante ogni fendente di Farkas sembrava potesse tagliare una montagna, i guerrieri della Taverna si organizzarono in formazione e a uno a uno eliminarono gli avversari. La battaglia nei cieli si concluse di li a poco, con un verso innaturale di dolore Aldir si schiantò al suolo ferito, seguito dal drago nero. Ritramutatosi in umano tentò invano di riappacificarsi a Botark e al suo ennesimo rifiuto svelò il sortilegio nel quale erano intrappolati. Avevano vagato nei tempi. Aldir l'immortale li aveva trascinati in avanti nei secoli, oltre la caduta di castel Montenero, lontani dal mondo che conoscevano e al quale non avrebbero fatto ritorno.



Il risveglio dopo la battaglia fu gelido. Le forze del gruppo sembravano scomparse insieme al mondo che conoscevano, dissipate dallo scontro e dall'impatto con la dura realtà. Botark aveva passato la notte a studiare il diario di Fellons in cerca di una soluzione e sembrava averla trovata. Una difficile missione aspettava il gruppo. Avrebbero dovuto cercare e trovare Aldir che si nascondeva tra le pieghe del tempo e dello spazio, avrebbero dovuto combatterlo, intrappolarlo e riunirlo al Taverniere che con un'ultima fatica avrebbe riportato alla normalità l'intera dimensione distorta dai poteri del necromante. La chiave, ancora una volta, sarebbe stata la pietra dell'evocazione. Il fallimento avrebbe significato la distruzione totale del mondo conosciuto e un oscuro destino per Billi e Botark, avvelenati da neri poteri.



Il momento era arrivato. Botark aveva studiato a fondo l'incantesimo traccia anima trascritto sul diario di Fellons e aveva localizzato il necromante nascosto nello spazio-tempo. La missione era chiara, catturare lo spirito di Aldir, rinchiuderlo nella pietra evocatrice e tornare all'accampamento per concludere una volta per tutte questo incubo temporale. Un gruppo di quattro guerrieri si preparò al viaggio. Circondato dalla voce del Taverniere che convogliava un'immensa quantità di flusso, il gruppo si smaterializzò, divenne polvere, e di colpo venne catapultato in un mondo parallelo, chissà quando e chissà dove. La neve sotto di loro, le vette appuntite, i boschi tutt'intorno suggerivano si trovassero nelle montagne settentrionali. Poco distante, sull'uscio di un rifugio riscaldato li aspettava senza stupore un figuro che parlava come Botark, si muoveva come Botark, li conosceva come Botark, ma che non era Botark. Aldir l'immortale sapeva che si trovavano li, nascosti tra i tronchi, pronti a sacrificare tutto pur di prendere la sua anima. Le parole dell'antico che inizialmente risuonavano familiari, concilianti e amiche si tramutarono in tuoni di ira e terrore quando i compagni non si arresero al suo volere. La maledizione di Billi, lontano dal Taverniere e dalle rune della mezz'elfa si scatenò. Il ragazzo iniziò una rapida trasmutazione nella bestia mannara che avrebbe distrutto tutte le speranze di vittoria. Billi, con l'aiuto dei compagni, assopì solo parzialmente e con grande difficoltà il lupo, dominandone il volere e mantenendo la lucidità. Lo scontro era inevitabile. Aldir, il negromante, l'antico, il drago Dorato contro i guerrieri della taverna. Ancora una volta la battaglia sarebbe stata epica e i canti sarebbero stati tramandati nelle locande per decenni a venire, sempre che il tempo tornasse al suo regolare procedere.



Una tempesta di fulmini! Ecco cosa accolse il quattro guerrieri della Taverna. Zolfo, in prima linea sembrava mastodontico con lo spadone titanico, Akmenos nelle retrovie accumulava flusso a mani giunte preparandosi allo scontro, Derfel richiamava alla mente i più antichi incantesimi di battaglia e Billi, in una forma chimerica, metà umano e metà mannaro si caricava di un odio crescente verso il necromante. Il gruppo, unendo le forze riuscì a ferire Aldir che scatenò la propria furia in forma draconica. Il mastodontico drago Dorato iniziò a volteggiare tra un tornado di fiamme. I boschi intorno iniziarono a bruciare mentre i guerrieri si riparavano come potevano. Ormai certo della vittoria, il drago piombò sul gruppo per finirlo. L'errore gli fu fatale. Zolfo e Billi, rinforzati dagli incantesimi dei chierici, aprirono un varco nell'armatura di scaglie di Aldir e lo costrinsero a riprendere forma umana. Ferito e stremato, lo stregone tentò ancora una volta di impossessarsi del volere del Lycan. Billi, sorretto dai compagni, si ribellò alla chiamata oscura e, come ordinatogli dal Taverniere, conficcò la pietra evocatrice nel costato dell'antico, sequestrandogli l'anima e rompendo il suo incantesimo temporale. Il drago D'oro era sconfitto. Aldir l'immortale era stato ucciso. La Missione era completa. La speranza era tornata.



Con l'ultimo respiro esalato dall'antico stregone si dissolse anche il mondo intorno ai guerrieri. Pochi attimi di nulla e iniziò a materializzarsi davanti ai loro occhi l'accampamento dei compagni. Pochi attimi erano passati per chi era rimasto all'interno della carovana, ma per il gruppo di guerrieri pareva finita e ricominciata da capo una vita intera. Il Taverniere, consumato dall'incantesimo, li aspettava per concludere la missione, e Billi, nonostante la paura di vederlo morire tra le sue braccia, tentennando, gli conficcò la pietra nel cuore, dove un'oscura ombra sembrava pronta a occuparne il posto. Tutto si fermò di colpo, una brezza leggera accarezzò tutti i membri della spedizione, alleggeriti della loro forma fisica e temporale. Quando riaprirono gli occhi una luce li pervase dall'interno. Le braci crepitanti nel vecchio camino, il colore del legno delle tavolate, sacco di carne che miagolava per un boccone di pane, il profumo dei piatti del cuoco, la birra che scorreva a fiumi dai boccali ricolmi, le risate, le urla, il guercio senza corpetto e con la tonda pancia di fuori li accolsero. Erano tornati alla Taverna, e sembrava che nulla fosse successo, come se non fossero mai partiti. Solo il Taverniere, sorprendentemente in forma, brillava di una strana luce, i suoi occhi scintillavano di pagliuzze dorate e le sue parole sembravano cariche di una nuova enfasi, piene di un nuovo potere. Molte cose rimanevano irrisolte, molti avvenimenti attendevano ancora la Taverna, ma tutto passava in secondo piano perché finalmente potevano dirsi nuovamente a casa!


I giorni seguenti alla taverna furono parecchio insoliti, come insolito era stato il comportamento del Taverniere. Botark faticava a mantenere la lucidità e sempre più spesso iniziò a parlare della caccia e del suo sogno di fare dei guerrieri della taverna i suoi cacciatori. La sua aura dorata si espandeva continuamente, ne aveva modificato il comportamento e le ambizioni, sempre più simili all'antica sua nemesi. Aveva iniziato a sproloquiare anch'egli come Aldir, con lunghi monologhi in direzione del bastone magico adorno delle teste delle megere. La grande guerra contro il negromante era conclusa, ma il tempo, che si pensava fosse stato spezzato, pareva semplicemente aver cominciato un nuovo ciclo del suo infinito scorrere imperituro. L'ennesimo giro di lancette li aveva portati a casa, ma il destino, che non si può ingannare e dal quale non ci si può nascondere, li stava cercando. Il capolinea del loro duro viaggio sembrava esserne divenuto invece il nuovo punto di partenza. Una strada tracciata, dove Aldir l'immortale sarebbe risorto e la sua schiera di guerrieri lupo sarebbe partita cavalcando dalle strade di Grosten e avrebbe avuto come dimora la vecchia Taverna del drago.