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IL RAGNAROK - Leggende delle Montagne Settentrionali


Era una sera d'inverno di molti anni fa, le Lune Gemelle splendevano alte e luminose in un cielo costellato di stelle e riflessi color smeraldo. Il clima era talmente rigido e pungente da ghiaccare l'intera baia; il vento sferzava impetuoso e scorazzava lungo i viottoli del villaggio echeggiando di casa in casa, richiamando con i suoi ululati gli abitanti di Osdør. Una sola luce si disperdeva nell'aria, propagandosi dalla finestrella affianco al comignolo fumante della Grande Casa dello Jarl. Le grida e le risa che da lí provenivano pulsavano come un cuore all'interno di un corpo freddo e latente, irrigidito ed immobile nell'attesa della primavera. Erano tutti uniti, seduti su scranni di legno rivestiti di pelli, intenti a bere idromiele e birra gorgheggiante da corni issati nell'aria.

<Skål!>, fu il grido unisono. Brindavano alle vittorie e alle conquiste, al futuro e alla sorte, salutavano i morti che li attendevano nel Valhalla.

Alcuni ragazzini giocavano a rincorrersi sgambettando su e giù fra i tavoli. Il più piccolo si precipitava a perdifiato proprio nella direzione dell'enorme braciere al centro della stanza, quando un braccio ferreo e possente lo agguantò di sorpresa e sollevò da terra.

<La-lascimi!> Tutti si zittirono ed i ragazzini si fermarono. <Dedo andal a pendeli!> Non furono tanto le parole masticate o il broncio, ma la ferocia con la quale quel minuscolo esserino di soli due anni minacciò il manipolo di amichetti che fece scoppiar tutti in una fragorosa risata.

Il genitore, lo Jarl, strinse le gambe e lo depose sulle ginocchia dolcemente. Dopo qualche calcio mollato qua e là, il bambino si calmò.

<Quanta forza!> Esordí uno.

<Proprio il figlio del nostro capo!> disse un altro.

Il cucciolo corrucciò le sopracciglia e sbuffò, allorché il padre sollevò un dito in aria ed intimò il silenzio. <Trattieni queste forze per il futuro, figlio mio>, sussurrò. <Ti serviranno per quando arriverá il ragnarok>.

L'intera sala sorrise ancora una volta.

<Cos'é il randarot!?>

Lo jarl, sogghignando, ammiccò allo scaldo seduto in fronte a lui. <Erik, cos'é il ragnarok?> Poi, abbassando ancora una volta il tono, aggiunse, <ora ascolta, piccolo...>

Erik annuí ed alzò le mani in aria per richiamare l'attenzione. Coprí il capo con il manto per oscurare il viso, ma gli occhi, scintillanti al bagliore della fiamma, rimasero ben visibili.

<Shhh>, gridò Golmaar l'Orso.

<Tutti zitti!!>

Dopo pochi attimi iniziò il racconto, concentrando lo sguardo sul piccolo erede.




<Il crepuscolo degli Dei si preannuncerà in questo modo>. La sua voce si fece lugubre. <Ci saranno tre anni di inverni rigidissimi ed estati dal sole nero; la gente perderà ogni speranza e si abbandonerà alla cupidigia, all'incesto, ed alla guerra fratricida. Midgardsormr, il serpente del mondo, balzerà fuori dall'oceano, innalzando le maree e sommergendo la terra>. Prese una pausa, mimando con il braccio le gesta della creatura di Loki. <Il lupo gigante Fenrir romperà le sue catene invisibili!>





 Allargò di scatto entrambe le mani. <I cieli si apriranno e Surtr, il gigante di fuoco, divampando, varcherà il ponte per distruggere gli Dei>. 





Gradualmente iniziò ad alzare il tono, il sudore gli permeava la fronte. <Odino uscirà cavalcando dai cancelli del Valhalla per combattere un ultima battaglia contro il lupo!





 Thor ucciderà il serpente, ma morirà per il suo veleno! Surtr diffonderà il fuoco per tutta il Dwailinar e alla fine Fenrir divorerà il padre degli Dei!!> Questa volta urlò, facendo sobbalzare chi gli sedeva affianco. Poi, con voce flebile, sussurrò, <i lupi Sköll e Hati ingoieranno il sole e la luna, ed il Ginnungagap tornerà a regnare. Rimarrà solo il buio, ed il silenzio perfetto del vuoto prima della creazione>. Si fermò. Il respiro era affannato.

<Poi?>, chiese il ragazzino. Per pochi istanti poté udire nella stanza soltanto il battito del suo cuore.





<Una nuova Terra emergerà dall’acqua, purificata dalle fiamme, bella e verde>. Questa volta la voce dello scaldo sembrava serena. Spostó lo sguardo verso l'alto, come se potesse mirare ciò che stava descrivendo. <Su di essa non vi saranno più né bene nè male, perché entrambi saranno stati sconfitti. Mentre le aquile voleranno di nuovo ed il grano tornerà a maturare nei campi, un uomo ed una donna, che avran trovato rifugio nel sacro albero di Yggdrasil, usciranno per vedere il nuovo mondo. Si ciberanno solamente di gocce di rugiada mattutina, e popoleranno di nuovo la Terra della razza umana, e amore>.

Lo Jarl si perse nelle pupille azzurre del suo piccolo, il quale contemplava, immobile ed incantato dall'atmosfera creatasi, le labbra dello scaldo. "Bjork..." Fissò le ciglia di quel volto minuto, il nasino, le guance arrossate dall'emozione e dalla paura, il mento sottile ed affusolato, ed il crine biondiccio e arruffato tale e quale a quello della madre, la donna che tanto amava, la spalla a cui affidava il villaggio quando lasciava casa ed il rifugio che lo accoglieva al ritorno... Il suo Yggdrasil. Idolatrava la famiglia e gli amici, gli stessi che sorridevano seduti al tavolo, ed adorava il popolo, tutti coloro che gli avevano giurato fedeltà, e la sua terra, colma di saggezza e tesori naturali inestimabili.

"Amore". Ecco cos'era per lui il Ragnarok, quella mitica leggenda di scontri fratricidi.

"Amore", il fine massimo a cui aspirava, un futuro per suo figlio e per tutti coloro che amava.

"Amore". Ciò per cui lottava, quello per cui ogni vichingo lottava.

"Amore." La massima aspirazione.

<Il ragnarok é Amore>.