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IN PRINCIPIO PARTE 1

 






Era pieno inverno e non era una notte come altre, tutt'altro, nevicava come non aveva mai fatto negli ultimi 100 anni sulle Isole di Ferro. La bruma avvolgeva i viottoli della cittadella, illuminata dai deboli e sparuti lumi delle lanterne ad olio affisse alle entrate delle magioni. Qualche animale domestico sgattaiolava qua e là, lasciando scie di piccole impronte sulla neve fresca. I comignoli delle case fumavano nubi scure manco fossero incalliti consumatori d'erba pipa. Dagli scuri s'intravedevano danzanti le ombre degli abitanti che s'apprestavano a cenare, mentre dai merli di Castel Grosten, torreggianti sulla zona portuale, le guardie scrutavano sghignazzando i mendicanti che zigzagavano qua e là alla cerca di monete, donate, per la grazia degli Dei, dagli ultimi marinai in ritorno dalle escursioni ittiche o commerciali dalla Valle Smeraldo. Qualche donna di strada, impellicciata a dovere ma pur sempre con il succulento equipaggiamento in bella vista, ammiccava a coloro che chiudevano la fila dei passanti. Probabilmente, dopo aver centrato gli obiettivi, si sarebbero rintanate nell'unica locanda aperta del distretto, quella famosa per l'eleganza pari a quella di una crostata farcita di sterchi, il "buco di culo dell'isola", ovvero, la famigerata "TAVERNA DEL DRAGO".

La stanza era molto più grande di quanto si potesse immaginare dall'esterno e meno fatiscente di altre bettole costruite dai mastri ferrai dell'Isola. D'altronde, la ruggine ricopriva bene bene le travi del sottotetto, colorandole in modo bizzarro di un rosso acceso, rinvigorito e reso scintillate dalle fiamme crepitanti del braciere posto al centro della sala, sul quale un enorme Skeever, un topone contrattato coi mercanti delle lontane vie di Skyrim in cambio di qualche scarafaggio arrostito (tipicità dell'Isola, alimento ricco di ferro e minerali), rosolava e sfrigolava permeando l'ambiente dell'aroma della carne spennellata col miele. Tutt'intorno i tavoli erano disposti a cerchio, al lato dell'entrata v'era il bancone del taverniere, mentre in quello opposto l'antro di scale che saliva alla camere del piano superiore, e l'accesso alla lattrina esterna.

Come sfondo all'aroma del cibo una note flebile e rancida di sudore misto zozzume caratterizzava quel palcoscenico, dove attori improvvisati provenienti da ogni landa della Regione si propinavano in armoniosi monologhi o smargiasse risate, rutti baritonali e peti sgraziati.

Il proprietario sembrava tutt'altro che un tipo simpatico, col volto simile a quello di un suino ingrugnito e sudaticcio. Di larga stazza, con ampie spalle massiccie e mani callose strappate probabilmente al lavoro dei campi, invitava il bardo a comporre un nuova ballata, passandosi il pollice da un lato all'altro della gola per fargli intuire cosa sarebbe capitato se non l'avesse compiaciuto. Nonostante il comportamento poco affabile i suoi occhi scintillavano pieni di vita, profondi e scuri simili a opali, e parevano racchiudere un ampio spettro di saggezza. Era intento a studiare i minimi movimenti degli avventori, esaminandone a fondo ogni impercettibile particolarità, e a prepararsi mentalmente per ciò che avrebbe dovuto dir loro in quella lontana nottata d'inverno. Il destino sarebbe mutato... proprio quella sera.

Interrompendo i suoi pensieri un tale irruppe in quell'istante nella taverna, facendo sbattere la porta d'entrata contro la schiena di un mendico seduto sullo sgabello più lontano dal fuoco, un elemento particolare del gruppo caratterizzato da una benda sull'occhio destro, ed interrompendo il vociare assordante. Il volto del nuovo arrivato era tale a quale a quello di un gallo spennacchiato, con occhi strabuzzanti e stralunati. Con le mani fra i capelli urlò a squarciagola: <Un drago!!>

Fu in quel momento che tutto ebbe inizio...

Dapprima fu il silenzio più totale, ma successivamente tutti si alzarono dalle sedie per avvicinarsi all'entrata, schiamazzando, gridando la loro incredulità, deridendo l'uomo con la faccia da volatile. Il taverniere, con uno scatto degno d'un facocero, precedette tutti e fu il primo a volgere lo sguardo verso la volta tersa notturna. Le lune gemelle splendevano, la "Costellazione di Crëmildæ", la leggendaria fatina della notte, colei che veglia sulle anime dei bambini illuminandone i sogni, riluceva incastonata nel suo solito seggio, adagiato fra la "Cintura di Cõrlia" e la "Fascia di Naddùrręth", brillante come il monile più pregiato della collezione di zirconi della Signora di Castel Montenero. Sulle mura del palazzo Grosten, a proposito, le guardie avevan cessato le risa, e non scrutavano più nella direzione dei mendici del porto, ma le punte dei loro nasi eran tutt'uno con quella del buon taverniere, rivolte al cielo.

<Dannazione, ecco quel maledetto!!>

Gli sguardi degli avventori percorsero la direzione segnata dall'indice tozzo dell'oste. Una sagoma alata fluttuava nell'aria, disegnando spire concentriche nello spazio fra le due lune. Il bestio interruppe la sua corsa e a mezz'aria dispiegò le ali, mostrando tutta la sua mole degna del gigante Gargantuà. Era enorme, le squame smeraldine riflettevano i fasci lunari, abbagliando i sobborghi ferrosi della cittadella. Emise un urlo ferino, acuto ed assordante, che obbligò i presenti a tappare le orecchie coi palmi delle mani.

<Quello è Toras!!!> Gridò il commerciante di stoffe Geralt, originario di Pietrarunica e fanatico religioso. I suoi occhi vampavano spiritati.

<Ma che dici...>

<Toras??>

<Siamo fritti, scappiamo!!!>

<ZITTI TUTTI!!! E FERMI DOVE SIETE!!!> Il taverniere, ancor più ingrugnito e sbuffante del solito, stroncò il delirio collettivo che stava creandosi sul nascere. <NON SAPETE NULLA DI QUELLE BESTIE, TORAS NON HA CERTAMENTE L'ESOSCHELETRO COLOR SMERALDO!!!> Li fissò uno a uno negli occhi, attirando l'attenzione. <QUEL BASTARDO È RICOPERTO DA SQUAME DEL COLOR DEL SANGUE, IO LO SO BENE... RIENTRATE NELLA TAVERNA, NON VI ACCADRÀ NULLA!!!> Ci fu tensione, densa, fitta e tagliente come la lama di un rasoio, ed infine nessuno seppe disobbedire al tono convincente e serioso dell'uomo. <Lasciate che ci pensi io...>

La porta si chiuse dall'esterno sbattendo con tale forza da far balzare in aria la polvere e le ragnatele che adornavano gli stipiti, laddove i batteri avevan creato un vero e proprio habitat naturale, composto principalmente da una melma grigiastra della stessa compostezza del muco.

Il guercio s'apprestò a sbarrare l'entrata con un asse, gli altri si gettarono alle finestre per controllare cosa stesse accadendo, mentre Geralt, il "fanatico", strideva come le corde di un violino, gridando con voce acuta: <Toraaaas ci ucciiiideeeerà tuttttti!!!>. Le fiamme alle sue spalle ne risaltavano il crine irto e teso come gli aculei di un porcospino, l'oscurità adombrava le pupille affossate nel delirio del terrore, le dita tese e tremanti cercavano di stringere l'aria in un movimento espastico ed incontrollato.

Non dovettero attendere molto che un tremito scosse tutta la Locanda.

<Aahhhh!!!>

<Che è stato!?>

<Non si vede nulla, per la barba del degli Dei!!!>

Un altro terremoto li costrinse ad aggrapparsi l'uno all'altro. Il sudore gelava loro le schiene, facendoli tremare.

<Toraaaas è veeeenuto perrrr noiiii!>

<Fate tacere quel bastardo!>

Un coro di grida giunse dall'esterno, la città stava scoprendosi dal manto di soffice neve che la cullava per ridestarsi avvolta dal panico.

Le scosse ripresero, e si ripetettero senza sosta, accompagnate da tuoni potenti come quelli della fine dei tempi e da lampi che illuminavano la notte a giorno. I vetri delle finestre esplosero come colpite dalla frusta di un gigante.

<A terra!!!>

<Toraaaassss!!!>

Tentarono in tutta furia di coprirsi per lo meno gli occhi, mentre un vento innaturale e gelido come l'abbraccio della morte li investì appieno, soffocando con la sua foga il focolare al centro dalla sala. Il fumo e la cenere s'innalzarono come nebbia d'inverno, obbligando tutti a tossire e sputazzarsi l'uno contro l'altro.


<Ninįt, milvït, rildældt vįjsi;edâ át cæl'it, pör gållid¢it


Accompagnate dalle sferzate le parole echeggiarono nell'aria, in tutta la cittadella, amplificate ed assordanti come urlate all'interno di un corno da battaglia.


<Questa... Quelle frasi... Sono magia elfica...>


Un bagliore accecante illuminò il cielo, irrorando le spiagge dell'Isola e raggiungendo la campagne della Valle Smeraldo. Ogni avventore della Taverna, ogni miliziano del castello, ogni cittadino di Grosten, ogni marinaio ed ogni pirata, ogni anima che si era raccolta in strada per assistere alla scena ed ogni persona che respirasse, dovette tappare occhi e orecchie con le braccia e con le mani.

La luce fu seguita da un boato simile al barrito di un centinaio di elefanti. Il tempo sembrò arrestarsi.

Per alcuni minuti non vedette o sentì null'altro che un fischio ridondante, il quale pareva esplodere dalle trombe d'Eustachio e far scintillare i martelletti come fossero battuti su incudini da fucina. Poi, finalmente, con graduata lentezza, quando tutto si spense, il bagliore, il suono, il vento, le voci, ed anche le grida, quando tutto si placò, il guercio riaprì l'occhio buono.

Sospirò, e si grattò la fascia logora che copriva l'orbita cava. Non era un tipo che credeva agli Dei, anzi, lo chiamavano il "senzaocchi" nella sua città natale, Thule, alle pendici delle Montagne Settentrionali, proprio perché "non vedeva" gli Dei. Era considerato un eretico, uno dei pochi che non ponevano la loro vita al volere delle divinità, all'onore ed alla battaglia. Proprio in base a ciò, alle sue marcate convinzioni, al suo credo pronunciato quotidianamente da cappa e spada, da armatura e scudo e lance o ascie, in relazione al fatto che egli non credesse a nulla, quando riaprì quel maledetto occhio il fiato gli si soffocò in gola. Dovette attendere non poco prima di riuscire a deglutire, ciò che aveva davanti non poteva certo essere dovuto a qualcosa di naturale. <Per gli Dei...> Non riuscì a trattenere l'esclamazione, mentre ansando cercava di recuperare il fiato.

Tutti gli avventori della Locanda, gli uomini, le donne e i bambini che erano accorsi nei vicoli, le guardie sul torrione ed i mendici nel porto, tutti erano stesi a terra, in un dipinto scarlatto che aveva reso la soffice neve un vasto mare di sangue. <Sono tutti morti... perché... io...no...?>

Guardò il cielo, non v'era più traccia del drago, per lo meno. Fece qualche passo oltre l'uscita, scavalcando con la gamba destra il cadavere di un bambino e strisciando la sinistra contro la mano inerme di una donna. Vomitò, osservando lo sguardo vitreo del fanciullo.

Attorno non si udiva nulla, nemmeno i pianti di quelle povere persone. Erano realmente tutte morte. <Ugh...> O forse no...

Studiò da dove giungesse il lamento, poi esclamò: <Taverniere!>

L'uomo ingrugnito, col volto macchiato di sangue, non era molto distante. Era affaticato, come se avesse combattuto con le proprie mani contro le mascelle di quel bestio ancestrale.

<Aiutami...>

Corse verso di lui e lo trattenne giusto un attimo prima che cadesse a terra.

<Non capisco... cos'è successo!?>

<Aiutami ad arrivare al castello... sono esausto...>

<Il rito magico, sei stato tu!? Ho riconosciuto il suono delle parole, era elfico!!>

<È solo un vecchio dialetto... Dobbiamo fare presto, dai...>

"Non me la racconti, vecchio..." Gli prese le braccia e le cinse attorno al suo collo, poi lo sollevò, inarcando la schiena e spingendo con i quadricipiti e i dorsali. Scansando i cadaveri disseminati nel terreno iniziò a risalire le stradine del borgo, caricandolo di peso e scrutando il paesaggio. Molte case eran ridotte in macerie, alcuni tetti nonostante la neve vampavano come torce. <Ho visto una luce, accecante...>

<Quella era la magia draconica, ragazzo... Fai in fretta...>

<E ha fatto tutto in così poco tempo!?>

Il gelo era talmente pungente che le sferzate di vento ora incalzanti lo costringevano a socchiudere l'occhio arrossato. Il tempo era mutato, e assieme a lui anche l'ambiente tutt'attorno. Un bambino, inzaccherato e ricoperto di fuliggine come uno spazzacamino barcollava a destra e a manca, gridando: <mamma!! Mamma!!> La cercava tra i morti, mentre i canti dei corvi iniziavano a fargli da eco, volteggiando sulle loro teste.

<Non era un drago comune... Anzi, uno era un cucciolo, ma l'altro... Dannazione!! Un Antico, chi mai avrebbe pensato di vederne uno...>

<Siamo arrivati...>

Il portone di Castello Grosten era spalancato. Le guardie correvano in ogni dove, intente ad organizzarsi con secchi e tubi per iniziare a spegnere le fiamme. Un gruppo di uomini e donne spiccava al centro di una piccola ressa per via dei loro abiti, del portamento, e della fierezza con la quale dettavano gli ordini.

<Quello è il "circolo Furdesn", lasciami ora... Dovrei farcela...>

<D'accordo vecchio... Ma io... io...>

<Resta dietro di me...> L'oste, claudicando, si diresse verso il gruppo. Quando le guardie lo videro stranamente gli aprirono la strada con un inchino di riverenza. Il "circolo" lo squadrò, saggiandone le condizioni, ma quando emise un grugnito degno di un leone s'inchinarono, sibilando: <GranMaestro Botark'Lem, la tua luce ci guida>.

<Finitela con queste baggianate... mi serve la vostra concentrazione, razza di bifolchi. Ho affrontato quel bastardo, non ho potuto fare nulla, se non...>

<Maestro, i draghi non si vedevano da decine di anni. Come mai è apparso?> chiese uno.

<Un drago verde>, aggiunse un'altro, il quale indossava i classici abiti cerimoniali dei sacerdoti di Toras, ovvero un'armatura rossa color fuoco con una T dorata disegnata sul busto, <ti ha ridotto in queste condizioni, Botark!?>

Il taverniere ammiccò al primo, suggerendo a denti stretti: <già, intuitivo Lebronn...> Poi sputò a terra, puntando le pupille spiritate verso il secondo. <Dagomar Ceydan, non era una dannata lucertola verde!!! Era un fottuto Antico, per la barba degli Dei!!> Tutti sussultarono. <Ho usato la magia elementale, stavo dicendovi, ma non ho potuto fare altro che confinarlo...>

Il volto del guercio era eletrizzato da quello che stava udendo. Ancora una domanda però gli tormentava le meningi...

<Maestro, dove l'hai confinato?>

<Dove!?>

<Botark, dove hai sistemato l'Antico?>

<Nel... nel... nel futuro>. Tutti si ammutolirono. <Non so quanto tempo abbiamo a disposizione, ma dobbiamo prepararci al suo ritorno.>

<Futuro!?>

I volti del circolo erano increduli.

<Scusatemi...> Li interruppe il guercio. <Perché sono tutti morti tranne me?>

Il taverniere, gran maestro del circolo Furdesn, i pirati razziatori delle Isole di Ferro più temuti di tutta la Regione, lo squadrò dritto nell'unico occhio. <Perché era il volere degli Dei...> Sorrise, schernendone le convinzioni.

Dagomar si avvicinò al bendato e gli pose una mano sulla fronte. <Clærtttuüu, vwvɜränæ's, wįll'nãst>. Una luce fuoriuscì dal suo palmo, calda e lieta.<Dovresti star meglio ora>>.

<Diamine, è vero!> Il suo cuore aveva decelerato, si sentiva tranquillo, riposato e al sicuro.

<Tornando a noi>, riprese a gran voce il maestro del circolo, <ho bisogno che sistemiate la mia baracca al più presto>.

<Ma il drago verde che fine ha fatto?>

<Quel cucciolo? Trovate i resti di fronte alla Taverna, non aveva nulla a che fare col padre...>

<Ma non puoi stare a castello come tutti noi?>

<Puah!! Questa ricchezza è uno sfregio al nostro animo piratesco, dannazione!! Gongolatevi coi vostri tesori, ma rimettete a nuovo la Locanda ed io darò vita ad un cazzutissimo gruppo di guerrieri capaci di distruggere quel drago!!!>

Tutti annuirono, senza tergiversare.

Solo Dagomar, sospirando, gli si avvicinò, ed abbracciandolo disse: <io sarò con te, maestro e amico. Fonderemo un clan, il clan della Taverna del Drago!>

Botark gli batté una manata sulla schiena, nonostante l'età fu possente come una martellata seppur amichevole. <Guercio>, attirò l'attenzione dell'estraneo al gruppo. <Non sei l'unico a vedere oltre le scemenze religiose. In mezzo a quel branco di fichette alla Taverna, eri l'unico degno e valoroso. Ecco spiegato il motivo per il quale sei ancora in vita, e per cui mi aiuterai nella mia missione...>

<Mmm... Va bene, Taverniere...>

La notte era giunta al termine. Le guardie avevano iniziato a spegnere gli incendi, a recuperare i cadaveri e a soccorrere i feriti. Il vento era cessato, il cielo tornato terso. Nemmeno la bruma carezzava più i volti degli abitanti di Grosten. Le lampade ad olio furono spente, mentre un tenue bagliore sorgeva ad oriente per illuminarli. Un nuovo inizio prendeva vita sulle Isole di Ferro, il destino della Taverna del Drago era pronto per esser intessuto nelle pieghe del tempo!