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LA STORIA DI SANDON

"Figlio di Eshmun"




Quando Hanim Rabco, gran sacerdote del tempio entrava in una stanza tutti gli adepti, anche gli Ascesi, tacevano immediatamente. Glabro, capo rasato, profondi occhi neri abbelliti dal kajal ed un'età indefinibile tra i 40 ed i 50, aveva un'espressione annoiata. Ma tutti sapevano che quella noia in un attimo poteva trasformarsi in una fredda ira, spesso preceduta dall'improvviso serrarsi delle labbra. Più di un cultista era morto vittima di quell'uomo dal potere sconfinato e dall'umore mutevole. Dunque non era strano il silenzio improvviso nella grande camera sacrificale al suo ingresso, silenzio rotto solo dal rumore del sangue che sgocciolava dagli altari e si raccoglieva in lenti rivoli nelle canalette. Dove conducessero queste, chi o cosa alimentassero era cosa di cui non era permesso parlare.

Hanim Rabco fissava i corpi straziati sugli altari senza vero interesse, abbozzando qualche commento qua e là: "taglio preciso, bene"..."no...lavoro disordinato". Poi si fermò davanti ad uno degli altari minori con un'espressione particolarmente scontenta accanto ad un carnefice tremante e, senza guardarlo, disse calmo "Morto subito. Male, la sofferenza va dosata". Un simile commento in genere segnava la sorte del colpevole, ma quando il sacerdote alzò la mano non fu per disintegrare il torturatore maldestro. Hanim Rabco sollevò il palmo verso l'alto e pronunciò poche parole con voce profonda. I brandelli di carne si riavvicinarono, le ferite si rimarginarono e con una serie di sussulti quel cadavere sull'altare riprese a respirare tossendo. I presenti erano allibiti. "Ed ora" disse il gran sacerdote senza traccia di emozione "ricomincia. E questa volta fallo durare o saranno il tuo dolore ed il tuo sangue ad essere offerti"

Detto questo attraversò la sala per andarsene passando vicino ad alcuni corpi appesi per le braccia, solcati profondamente da lame affilate e bruciati con ferri roventi. Si sentì distintamente un lento sospiro provenire da uno di essi ed Hanim Rabco si fermò. I torturatori si guardarono allarmati, un simile errore poteva significare la morte per tutti i presenti. Hanim Rabco però non sembrava in collera, solo incuriosito. Si avvicinò al ragazzo appeso osservando le ferite profonde e le orribili bruciature, frutto di giorni di torture, ma non trovò alcun difetto di esecuzione. "È vivo. Non dovrebbe esserlo...interessante." Lo osservò come se cercasse qualcosa di invisibile, poi senza voltarsi chiese: "Da dove viene lo schiavo? Da quanto è qui?"

"oh Oscuro...u...un carico dal nord ...Valle Smeraldo...no, forse le Isole del nord, verificherò i registri... è arrivato tre giorni fa..."


"Le isole di ferro..." mormorò Hanim Rabco sorpreso e poi ad alta voce, con durezza aggiunse "...un figlio di Eshmun. E lo avete torturato per tre giorni senza accorgervene."


Questa volta non ci fu preavviso né clemenza. Hanim Rabco strinse le dita della mano destra sussurrando una parola aspra ed il più alto in grado dei carnefici con un rumore secco di ossa spezzate si accartocciò su se stesso, versando sangue finché al posto del carnefice rimase solo un ammasso di carne dilaniata. Il grande sacerdote distese le dita, si diresse verso l'uscita e con voce tranquilla ordinò: "Slegate il ragazzo e portatelo da me. Vivo. Poi...vedremo..."